La Pastiera – La Cucina del Sacrificio

La Pastiera: cibo degli Dei

Popolarissima e sempre attuale, realizzata un po’ a tutte le latitudini, dolce e ricca di aromi della primavera, la pastiera è un dolce simbolo della Pasqua. 

Eppure la sua storia risale a oltre 3000 anni fa, alle radici della civiltà micenea e alla poderosa evoluzione culturale dell’antica Grecia.

I pilastri dell’alimentazione antica erano legati ai frutti dell’agricoltura e della pastorizia: l’uomo, finita l’era neolitica, aveva smesso il suo ruolo di raccoglitore per diventare un produttore di cibo.

E in effetti attraverso la capacità dell’uomo di piegare la natura alle sue esigenze che possono riassumersi le tappe dell’evoluzione e della capacità di lavorare in gruppi per ottenere più cibo, sostenere il commercio e rafforzare la società.

In origine la coltivazione delle verdure e degli ortaggi e l’allevamento di animali domestici erano simbolo di società costituite da piccoli gruppi, semmai riunite da accordi di scambi con altri gruppi simili.

I Cereali

Il vero cambiamento fu determinato dall’aumento delle popolazioni e dall’impossibilità di reperire risorse sufficienti per tutti, cosa che spinse le civiltà antiche verso l’unica fonte sicura di cibo: i cereali

La coltivazione dei cereali richiedeva sforzi enormi: tanta manodopera a disposizione, grosse quantità di acqua, la preparazione della terra, la lavorazione del raccolto.

Eppure il vantaggio era enorme: grandi quantità di derrate conservabili a lungo, un alto valore nutritivo e una merce da trasportare con estrema facilità erano la base fondamentale per uno sviluppo sociale sereno.

Persefone, Demetra e Cerere

Attorno alla cerealicoltura si sviluppò una nuova mitologia nell’area del Mediterraneo: infatti Iside in Egitto, Persefone e Demetra in Grecia e Cerere a Roma erano venerate come creatrici dei cereali.

Per ringraziare le divinità di tanta abbondanza un gran numero di cerimonie sacrificali si svolgevano al fine di ringraziare gli dei, attirarsi la loro benevolenza e aumentare i raccolti.

Il dono da sacrificare alla dea aveva esclusivamente un valore simbolico e doveva rappresentare appieno l’identità e il senso di appartenenza dell’uomo alla divinità.

Il sacrificio aveva, inoltre, diversi risvolti terreni: la spartizione del raccolto tra i lavoratori, la definizione dei ruoli e delle caste nella società e la creazione di nuovi leggi.

Il mese delle primizie (maggio-giugno) nell’antica Grecia era chiamato Targhelione dalle Targhelie, cerimonie di offerta ad Apollo e ad Artemide dei prodotti primaticci che così potevano essere desacralizzati e posti in commercio.

Pastiera come cibo sacrificale

Così il termine pastiera, derivato dall’aggettivo pas, rappresenta il tutto: il latte e il formaggio dalla pastorizia; il miele, frutto dell’ apicoltura; il grano dall’ agricoltura.

Il grano appena spuntato, tenuto a bagno per tre giorni, veniva esposto per chiedere la benedizione della dea e poi cotto nel latte, impastato col formaggio e condito con il miele. 

La cottura si svolgeva poi su una pietra rovente e, dopo aver affumicato l’ambiente del sacrificio con incensi, i commensali dovevano purificarsi prima di consumare il pasto con gli dei.

Sicuramente proprio il rito simbolico ha reso la pastiera una ricetta tramandata nei millenni. 

Nel corso del tempo ha subito numerose variazioni: dalla crosta esterna, tipica del periodo medievale, all’aggiunta di carne successiva e poi il brodo al posto del latte e l’aggiunta della decorazione a gelosia, di epoca rinascimentale, delle strisce di pasta.

Le numerose trasformazioni e la creatività di generazioni di cuochi non hanno mai però scalfito la base della sua identità: grano, formaggio e latte. 

Con questi ingredienti un antico ci consegna il valore millenario della cultura di popoli ingegnosi radicata nel nostro DNA.