La Cucina di Natale

La Cucina di Natale

La cucina di Natale.Ricordi di una famiglia numerosa, autarchica e tradizionalista

Sono il quarto di sette figli di una famiglia amante delle tradizioni e resiliente, tanto per usare un termine attuale (riguardo al cibo, già praticavamo il km 0 e la sostenibilità, ma non lo sapevamo).

Vivevo in campagna, in una casa grande come la mia famiglia, che si riempiva di più nel periodo delle feste di Natale: anche mio nonno aveva avuto sette figli esattamente come anche suo padre.

Ogni anno la mia famiglia ospitava i parenti per le feste, un gruppo di persone che non stentava a raggiungere i 40 invitati.

Così negli anni ‘80 a casa mia il Natale cominciava il 13 dicembre: dieci giorni prima della Vigilia.

Tanto era il tempo necessario per preparare il Cenone della Vigilia, il Pranzo di Natale, quello di S.Stefano, il Cenone di S.Silvestro, il Pranzo di Capodanno e Befana

Un’impresa familiare

Caratteristica principale dell’annuale impresa culinaria, che coinvolgeva tutta la mia famiglia, era che tutto doveva essere prodotto in casa, secondo un preciso calendario dei lavori gestito da mia madre.

Piatti di verdure, pasta fresca fatta a mano, portate di carne e pesce, pane, contorni e dolci venivano realizzati dedicando ognuno dei 10 giorni alla preparazione di una portata.

Si cominciava con le verdure di Natale: scarole imbottite e in umido, minestra di Natale, spinaci, friarielli e un’infinità di verdure in foglia e ortaggi utili per le elaborate minestre del periodo.

Cassette di verdure reperite solo nei mercati “adatti”: il cavolfiore di Nola, le erbe del casertano, le uova di Pomigliano si accumulavano nella grande cucina grazie all’elaborato processo di approvvigionamento di mio padre.

Seguiva il giorno della pasta fresca: ravioli ripieni di ricotta e spinaci oppure al salmone, ma anche le tagliatelle, le lasagne all’uovo e gli gnocchi di patate.

Poi c’era il giorno dell’insalata russa con la maionese fatta a mano con le uova fresche e preparata in grandi quantità anche per donarla ai vicini di casa.

Memorabile il giorno del tacchino: enorme fino a più di 20 kg e imbottito con carne macinata, mele, uova, funghi, uvetta e spezie. I miei ci tenevano tantissimo, gli ospiti assai meno e il pennuto, solo minimamente assaggiato, languiva in frigorifero fino a marzo.

E poi i capretti e gli agnelli da tagliare e preparare al forno o alla brace, e il giorno del pane, cotto nel forno a legna, delle pizze, degli struffoli e la pastiera e di tante altre altre portate di “rinforzo”.

Una scuola di cucina

Mia madre

Insomma, una vera e propria scuola di cucina, aperta per molte ore al giorno, e con compiti ed incombenze più o meno pesanti da svolgere.

Da quando eravamo molto piccoli mia madre ci insegnava a fare la pasta facendoci salire sulle sedie intorno al grande tavolo dividendoci i compiti: lei tirava la sfoglia o impastava e noi ci cimentavamo con le rotelle tagliapasta cercando improbabili linee parallele per non sbagliare la larghezza.

E poi c’erano i polli e il cappone: arrivavano vivi a casa e bisognava ucciderli e spennarli.

Ho fatto autentiche stragi di pennuti, mantenendo loro ferme le ali mentre mia madre li sgozzava. Qualche volta i polli scappavano via senza testa.

Oddio, a pensarci adesso che sono quasi vegetariano mi fa strano, ma è la percezione della sofferenza degli animali che è cambiata.

Le giornate passavano in fretta e i cibi cotti o da sistemare si accumulavano nella stanza più fredda della casa poiché frigoriferi e congelatori scoppiavano.

Ma per rivivere quei giorni di tanti anni fa racconterò, a partire dal 13 dicembre prossimo, ogni giorno le ricette di Natale della mia famiglia